Profondamente mutata nell’aspetto e nelle sue destinazioni funzionali rispetto alla costruzione originaria, villa Casana (come oggi è conosciuta dal nome degli ultimi proprietari) reca a tutt’oggi ben visibili i segni delle trasformazioni e delle aggiunte avvenute durante gli anni successivi l’ultima ristrutturazione effettuata dalla multinazionale IBM che si è acquisita il possesso della signorile dimora.
Gli interni della villa, la loro strutturazione e configurazione, risentono dei successivi rimaneggiamenti e dei diversi contrastanti interventi subiti. La “sala lunga” ad esempio ed il “piano terra” presentano soffittature modellate e decorate secondo lo stile veneziano sull’esempio del Palazzo dei Dogi di Venezia. Altri ambienti ricalcano uno stile di chiara derivazione umbertina.
Il salone posto all’entrata del palazzo è stato completamente ristrutturato; di notevole interesse è il pavimento di prezioso marmo. Un successivo locale detto “sala rossa” è impreziosito dal camino e da una bella specchiera dorata. Un secondo salone, ampio, tinteggiato di color verde detto “sala lunga”, di notevole pregio architettonico era un tempo predisposto per gli intrattenimenti e il ballo. Molto belle le ampie vetrate che si aprono sul giardino e lo splendido lampadario di Boemia.
Sulla destra dell’entrata principale si apre un particolare locale detto “sacrestia” in cui sono custodite le varie suppellettili da usarsi durante le cerimonie religiose, mentre i mobili che arredano il locale sono intagliati a mano. Il primo e il secondo piano del palazzo sono stati completamente ristrutturati per ricavarne molteplici locali atti ad ospitare il personale IBM.
Lo stile della villa è un insieme, un intreccio di motivi artistici diversi, che ci mostrano chiaramente le varie trasformazioni subite per l’avvicendarsi dei proprietari che hanno adattato i vari locali secondo i gusti e le necessità d’uso.
Villa Casana appare oggi decisamente conforme, pur nel suo particolare carattere, alla tipologia storica delle ville lombarde e specificatamente brianzole. È nata infatti come costruzione ben più ridotta ed umile nel 1704. A quella data si può sicuramente far risalire il corpo originario del palazzo più vetusto, e cioè la parte rivolta verso quello che oggi è il centro del paese. Le vaste cantine, che occupano il sottosuolo di questo braccio della villa hanno il soffitto costituito da una sequenza di volte: su di un muro è possibile leggere una data, 1704.
Tale corpo costituisce la parte centrale dell’odierna costruzione ad U e nasce come tipico esempio di costruzione rurale-civile del periodo. Costruita infatti per desiderio di un ricco borghese dell’epoca Antonio Francesco Manni, per seguire lo sviluppo agricolo delle numerosissime terre coltivate circostanti, la costruzione rispecchiava criteri di massima funzionalità ed agiata residenza, con riferimento alla situazione borghese del proprietario e della sua numerosa famiglia.
La cascina fu edificata su un’area di proprietà della Chiesa, come la maggior parte delle costruzioni circostanti, al centro di una zona adibita prevalentemente alla coltivazione del gelso ed al successivo
allevamento del baco da seta. Erano infatti quelli i tempi della massima intensità per quanto atteneva alla produzione di seta nella provincia di Como.
Sostenuta dal governo milanese per l’enorme valore di scambio con gli stati confinanti è noto che la coltivazione del baco si era dimostrata un ottimo investimento nel comasco. Nulla di strano quindi che un possidente come il Manni abbia voluto non solo sfruttare i pascoli e i boschi per legname, ma edificare su questi terreni una vasta cascina circondata dalle abitazioni per il proprio personale di servizio e bracciante.
La cascina venne dotata di ampie cantine e di un locale a pian terreno con torchio, usato per la produzione vinicola, e con vasti locali per le attività commerciali. A sottolineare il carattere agiato del proprietario, la signorile abitazione venne corredata praticamente fin dai primi anni di un giardino sul fronte ovest della considerevole estensione di circa tre pertiche.
Tale costruzione, unitamente a quella dei dipendenti, formò il nucleo del moderno paese di Novedrate. La stessa piazza della chiesa venne allargata ed aperta dai Manni trasformandola in una vera piazza di paese; inoltre la fontana al centro della stessa piazza fu edificata dai successivi proprietari dell’edificio. La vasta proprietà comprendente immobili, terreni e boschi fu trasmessa, in seguito, in eredità ai membri della famiglia fin quando l’ultimo dei Manni, probabilmente un religioso, cedette la cascina e molti possedimenti ad un agiato commerciante milanese Antonio Toni, il quale nel 1803 rivendette il complesso dopo una breve e proficua trattativa al conte Giacomo Taverna illustre rappresentante del patriziato milanese e persona molto influente nel mondo politico cisalpino (periodo napoleonico).
I Taverna, già proprietari di numerose residenze, procedettero all’acquisto di altri terreni nella zona di Novedrate ed edificarono numerose costruzioni civili da concedere ai locali contadini e fittavoli con lo scopo di ampliare le attività agricole.
Ciò soprattutto dopo il 1820, anno in cui il conte Taverna acquistò tutti i restanti edifici e terre rimaste di proprietà dei Manni. Da questa data iniziarono nella villa anche i significativi lavori relativi a quella che a tutti gli effetti si trasformerà da abitazione rustica a futura dimora di villeggiatura tipica dei nobili lombardi di quel periodo. E’ di questo periodo, attorno il 1830, l’accorpamento della parte originaria con un nuovo braccio di costruzione, che diverrà poi l’ingresso principale e la parte più propriamente nobile; nel 1847 all’altra estremità una modesta costruzione venne abbattuta e sostituita con un secondo braccio più piccolo destinato alle scuderie ed ai fienili. Ma ancora nel 1830, alla costruzione di una piccola corte adibita ad uso civile per i dipendenti (nel catasto ottocentesco corrisponde al numero di mappa 97), vennero aggiunte nuove scuderie. Inoltre si costruì la ghiacciaia sotterranea dotata di una imponente scala di pietra (n. di mappa 96 del catasto ottocentesco). Il ghiaccio e la neve venivano raccolte d’inverno in un laghetto distante due chilometri; il tutto serviva a mantenere la temperatura sotto zero nella ghiacciaia sino all’inverno successivo. Le recenti precedenti costruzioni vennero trasformate in rimesse e finalizzate, tra l’altro, all’uso dell’adiacente torchio. Anche il contesto della villa mutò radicalmente: i Taverna, infatti, trasformarono i terreni più prossimi all’edificio in giardini all’italiana, secondo la moda del tempo e, quelli più distanti, in parco costruendovi un roccolo per la caccia.
Contemporaneamente vennero assunti e consultati alcuni tra i più quotati architetti e decoratori del periodo i quali iniziarono i lavori di ristrutturazione interna e si preoccuparono di dare al palazzo una veste più signorile e mondana. Nel 1871 la villa passò poi ad un ramo della famiglia dei marchesi Isimbardi, collegati ai Taverna. Carlo Taverna, figlio di Giacomo, senatore del Regno, essendo senza figli, lasciò (probabilmente venne data in dote) la proprietà di Novedrate al nipote Luigi Isimbardi figlio di sua sorella Costanza e di Lorenzo Isimbardi. Nel 1907 la villa subì il suo più consistente rimaneggiamento, che le dette l’aspetto attuale.
A causa del grave deterioramento delle costruzioni dei dipendenti sul lato ovest della corte, queste vennero definitivamente demolite, insieme alle scuderie. Dopo la ristrutturazione le precedenti costruzioni vennero sostituite da un edificio indipendente per cui l’insieme monumentale degli edifici risultò disposto intorno ad un cortile centrale. A questo scopo il nobile Luigi Isimbardi pare non abbia avuto dubbi sulla persona cui affidare tale operazione di trasformazione dell’edificio da residenza di campagna a villa di villeggiatura: uno degli architetti preferiti dalla nobiltà del tempo era appunto il conte Emilio Alemagna.
L’architetto già aveva avuto modo di lavorare per gli Isimbardi. Lo stesso marchese Luigi lo aveva chiamato per ridisegnare e rimodellare la facciata del palazzo di via Monforte in Milano oggi sede della Provincia milanese. Artefice tra gli altri delle trasformazioni delle zone adibite a verde, oltre che architetto di fiducia dell’amministrazione milanese, Alemagna aveva appena deciso di abbandonare l’attività pubblica a favore di committenti privati, più malleabili e aperti alle sue sperimentazioni eclettiche ed ai suoi grandiosi progetti per giardini paesaggistici all’inglese. L’Alemagna fu un grande artefice del revivalismo stilistico di fine Ottocento, particolarmente versato nella reintroduzione del Barocchetto in numerosi palazzi e ville a Milano e nell’area brianzola, tra cui la stessa villa di Novedrate.
Egli, nel 1907 costruì ex-novo le scuderie della villa novedratese sullo stile dei cottage inglesi: il tetto in pietra d’ardesia, la mangiatoia in ferro battuto e l’abbeveratoio in pietra scavata a mano. Il parco (ben 14 ettari), in stile italiano con viali ampi e rettilinei, venne convertito nello stile inglese con stradicciole ad andamento sinuoso, tra macchie di alberi alternate a prati. Il 10 Luglio 1910 Novedrate fu colpita da un ciclone di enorme portata che danneggiò più di una costruzione della cittadina e colpì in modo sensibilissimo il parco della villa: alberi di alto fusto ne risultarono stroncati, costruzioni in legno, situate nel parco, furono rase al suolo, il patrimonio floreale seriamente compromesso. L’opera di sistemazione e di restauro fu subito intrapresa e portò alla ricostruzione del paesaggio danneggiato.
Ora il parco di 18 ettari oltre a vaste zone di prato all’inglese, annovera un altissimo numero di piante ad alto fusto, siepi di arbusti a fiore perenne, rododendri, azalee, castagni, querce americane, platani, pini, betulle, tigli. Ancora oggi nel vasto giardino vegetano anche faggi, abeti, cedri, magnolie giganti, biancospini, tuie giganti. Qui la primavera tinge alberi ed arbusti di mille colori, l’aria è densa di profumi, mentre l’autunno ricopre la terra di foglie variegate e di diverse tonalità marroni, oro, giallo. Luigi Isimbardi non ebbe figli dal matrimonio con Carolina Taverna, purtroppo deceduta anzitempo. La villa, nel 1912, passò quindi alla nipote Costanza Taverna, figlia di Rinaldo (fratello di Carolina) e di Lavinia Ludovisi Boncompagni dei principi di Piombino. Contraendo matrimonio con Pierluigi Casana, la proprietà cambiò ancora una volta nome, questa volta definitivamente, divenendo villa Casana. Ultimo proprietario della villa fu il barone Rinaldo Casana che negli anni sessanta la cedette alla IBM. La stessa multinazionale nel 1972 diede l’incarico all’architetto Silvano Marinucci di ristrutturare in modo organico la dimora patrizia, a cui fece seguito, nel 1989 una seconda ristrutturazione per opera dell’architetto Andrea Prandoni.